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COLONNA

Il 21 marzo 1979 l’elmetto e la lampada non servono più.

Il 21 marzo 1979 le mine e le perforatrici si ripongono.

Il 21 marzo 1979 il complesso minerario di Cogne chiude.

Il 21 marzo 1979 il giacimento più importante della Valle D’Aosta termina.

Il 21 marzo 1979 la montagna torna silente.

Il primo documento relativo all’attività mineraria di Cogne risale al 1433. Le miniere rimasero di proprietà dei vescovi di Aosta fino al 1679, anno in cui vengono vendute al comune di Cogne. Nel 1800, grazie all’interessamento e al lavoro del dottor Grappein, le miniere vivono un periodo florido donando così un relativo benessere agli abitanti del paese. Il sindaco Grappein ebbe il merito di tentare una gestione comunitaria e di costruire la strada che collega Cogne a Vieyes, ma è con l’inizio del ‘900 che si avvia l’estrazione su scala industriale. Una società italo-belga acquista il sito, costituisce la Società Anonima Miniere di Cogne ed inizia la costruzione di una teleferica e del complesso di Colonna. Nel 1917 la società viene incorporata nella GIO.Ansaldo, che costruisce l'acciaieria di Aosta e, nel 1922, la ferrovia del Drinc, che collega Cogne ad Acque Fredde. Lo Stato nel 1923 entra nella nuova Società Anonima Ansaldo-Cogne e nel 1927 acquista tutto il capitale fondando la Società Anonima Nazionale Cogne a partecipazione statale sotto la direzione di Franz Elter. Negli anni ‘30 e ‘40 il sito minerario vive il periodo di massima espansione: una straordinaria efficienza industriale, metodi di coltivazione innovativi, cura e benessere del personale. Sotto la direzione Elter la miniera diventa un modello da seguire. Negli anni ‘50 i giacimenti di Liconi e gli impianti di Colonna vengono abbandonati e la lavorazione spostata in località Costa del Pino. Migliorando l'efficienza e contenendo i costi il sito raggiunge l’apice della produzione. Successivamente una profonda crisi porta ad una ristrutturazione del settore siderurgico e il 21 Marzo 1979 alla definitiva chiusura della miniera.


Colonna
Edificato a 2406 metri, sulle pendici del Monte Creya, è il villaggio minerario più alto d'Europa. Era un complesso autonomo, sia per il lavoro minerario, sia per le esigenze quotidiane dei minatori impossibilitati a scendere in paese per settimane intere. Composto da due corpi, costruiti uno sull'altro, aggrappati alla montagna e separati da un ampio terrazzamento ospitava 400 lavoratori. Nello stabilimento, oltre alla sala mensa e ai dormitori degli operai, troviamo le cucine, le docce con acqua calda, la laveria, l’infermeria, un calzolaio, il barbiere e il cinematografo con platea e galleria. Connesso direttamente alla galleria di uscita dalla miniera era ubicato il piano delle officine dove i fabbri forgiavano i ferri per i minatori. Sulla terrazza panoramica era presente la bocciofila e adiacente ad essa la chiesetta di Santa Barbara, protettrice dei minatori. Lo stabilimento, dopo la guerra, viene abbandonato e l'attività spostata in località Costa del Pino. Il villaggio minerario di Colonna rimane un unicum nel suo genere e rappresenta una straordinaria testimonianza legata al settore minerario europeo.


Colonna è un tentativo personale per cominciare a riflettere su ciò che ereditiamo; sul rapporto che intratteniamo col passato. L'autore indaga e si interroga su come sia possibile conservare la memoria di un luogo, di un passato di cui non si è stati protagonisti ma che ha contribuito in maniera profonda all'identità e alla storia di quel luogo stesso. Cogne e le sue miniere, un binomio indissolubile, connivente da sempre: simbiosi che ha creato le fondamenta culturali e storiche che hanno determinato il Genius loci del paese. Mantenendo il necessario distacco critico, avendo ben presente la differenza tra storia e memoria, l'autore, superando le finalità documentaristiche del linguaggio fotografico, ha realizzato un progetto artistico perseguendo l'obiettivo di generare un racconto per immagini capace di risvegliare nell’osservatore delle emozioni che attivino in lui il meccanismo della post memoria. Il termine post sottolinea una distanza temporale, quindi, un tipo di memoria che non si fonda sugli eventi, ma sulle rappresentazioni dove le immagini hanno un ruolo risolutivo nel processo di ricomposizione della memoria o come suggerisce John Berger: “le fotografie sono sempre un relitto del passato, anche quando sono state scattate ieri, ma il loro scopo non è ricordarci qualcosa, e quello più profondo, di ricordarci di ricordare”. Nello specifico il lavoro si compone di immagini di landscape del sito minerario, immagini che vogliono essere frammenti visivi, tracce di qualcosa che non è più visibile; immagini che perdendo il proprio significato documentale diventano elementi primari dell'emotività del luogo e permettono di accedere al passato per collegarlo al presente. Sempre con lo stesso obiettivo di ottenere un progressivo affioramento del ricordo sono stati realizzati degli still Life di oggetti, utensili e documenti trovati in loco cercando di sottrarli all'oblio attraverso una trasfigurazione simbolica. Inoltre, nella narrazione, l'autore, ha realizzato una serie di ritratti di ex lavoratori della miniera accompagnati dai loro familiari e da un oggetto simbolo del minatore, la lampada, mettendo così in relazione e facendo emergere delle connessioni tra uomini e tra uomini e oggetti in funzione di una trasmissione della memoria e di una identità collettiva del paese. Colonna, dunque, propone allo spettatore un vero e proprio processo di riflessione etica, sociale, antropologica per ricondurre lo stesso alle sue logiche storico-sociali-culturali più profonde.

Fabio Dibello